Starostin Spartak

Tutto è perduto, fuorché l’onore

Presnja è un fiume che sgorga a nord di Mosca e attraversa la città fino ad affluire nella Moscova. Da esso prende il nome un quartiere nella zona ovest della capitale russa, che nel diciannovesimo e ventesimo secolo è sempre stato abitato da operai e proletari. Durante la rivoluzione del 1905 fu scenario di barricate e violente repressioni.

Proprio in quegli anni nascevano i fratelli Starostin: Nikolaj, Aleksandr, Andrej e Petr. I bambini riempivano le strade coi loro giochi, fino a quando freddo e oscurità non li costringevano a rientrare. Il calcio era stato importato in Russia dai marinai inglesi che giocavano nei porti di San Pietroburgo e Odessa, e nei primi due decenni del novecento si stava affermando come gioco più popolare. Ci si rende ben presto conto dell’influenza di questo sport sulle masse, e vengono istituite tantissime società come diretta emanazione del potere dello Stato.

Nel frattempo c’è stata la Rivoluzione d’Ottobre, i fratelli Starostin sono cresciuti e hanno fondato la Krasnaja Presnja, che è subito diventata molto popolare fra gli operai e il popolo in genere, ma anche fra gli intellettuali. Persino Vladimir Majakovskij ha dedicato alla Krasnaja Presnja dei versi.

Fra il 1923 e il 1926 il Partito impone che solo le squadre connesse a aziende o enti governativi vengano riconosciute. Il padre dei fratelli Starostin è morto nel 1920, Nikolaj è il più grande ed è ormai l’uomo di casa, responsabile della famiglia, che mantiene grazie alle sue straordinarie doti atletiche giocando a Hockey d’inverno e a calcio d’estate. È anche un uomo colto e astuto, e riesce a convincere la direzione del Komsomol (l’Unione Comunista della Gioventù) ad annettere la Krasnaja Presnja, mantenendo così legittimità e autonomia.

La squadra e l’interesse attorno a lei crescono, e nel 1935 i fratelli Starostin danno vita a una polisportiva in grado di competere con le grandi squadre controllate dallo Stato, indipendente, proletaria e rivoluzionaria nel paese della Rivoluzione, una squadra destinata a diventare leggenda. I quattro fratelli si riuniscono di notte, con pochi amici, in una stanza fumosa e che odora di vodka, l’obiettivo è chiaro, gli intenti condivisi e sul tavolo il libro del garibaldino Raffaele Giovagnoli dedicato a Spartaco, il gladiatore trace che capeggiò la rivolta degli schiavi nel 73 a.C.. Audacia, Fedeltà, Assalto, Vittoria, la maglia è rossa con una striscia bianca orizzontale sul petto: la squadra si chiamerà Spartak Mosca.

Lo stadio è in quegli anni una nicchia di libertà, l’unico luogo dove si può insultare e inveire contro l’avversario, anche se rappresenta il regime. Essere tifosi dello Spartak è una ribellione concessa anche ai meno arditi. Lavrentij Berja è il capo del KGB e in quanto tale presidente della Dinamo Mosca. Grande appassionato di calcio Berja non ammette sconfitta, la Dinamo deve vincere, e lui non dimentica. Da giovane Berja giocava da mediano e giocò contro Nikolaj Starostin, uscendone sconfitto e umiliato.

Nel 1939 Spartak e Dinamo si contendono il campionato e si scontrano nella semifinale della coppa nazionale. Berja in tribuna assiste alla vittoria dello Spartak per 1-0, l’atto di sfida è intollerabile e la sconfitta inaccetabile, così Berja ordina che la partita venga ripetuta. Ma lo Spartak e i fratelli Starostin sono indomiti, non si piegano, non capiscono, e vincono ancora. Quell’anno lo Spartak conquista coppa e campionato. Gli occhi di Nikolaj Starostin sono taglienti, fieri, pronti alla sfida.

Berja è furioso e ordina l’incarcerazione di Nikolaj, ma l’ordine deve essere firmato anche dal capo del governo Molotov, la cui figlia è compagna di scuola di quella di Starostin, e che è un grande ammiratore del calciatore.

Lo Spartak e il suo capitano sono salvi, è tempo di euforia e gloria.

Nel ’41 però l’URSS entra ufficialmente in guerra e Berja approfitta della confusione generata dal conflitto per regolare alcuni conti personali rimasti in sospeso. I fratelli Starostin vengono svegliati in piena notte, una torcia puntata sugli occhi e due pistole alle tempie. Gli agenti del KGB li interrogano e torturano nel tentativo di fargli confessare atroci crimini che li avrebbero portati alla fucilazione, ma gli Starostin resistono. «Tutto è perduto fuorchè l’onore» dirà Nikolaj.

Con l’assurda accusa di aver giocato a calcio in modo borghese e di aver attentato alla vita di Stalin – la cui unica prova era una foto scattata nel 1936 durante un’esibizione nella Piazza Rossa, che paradossalmente avrebbe dovuto finire dopo mezz’ora ed era stata prolungata per altri quindici minuti proprio per volere del divertito Stalin – vengono comunque rinchiusi nel Gulag. La madre manderà una supplica a Stalin che però venne intercettata da Berja e immediatamente archiviata. La prigionia durerà fino alla morte di Berja nel 1953, che morirà in ginocchio e supplicando, come aveva provato a ridurre Nikolaj e come poi è finito lui.

I fratelli Starostin hanno tutti avuto una seconda vita dopo il Gulag, e lo Spartak ha raggiunto altri successi. Oggi il calcio russo è dei nuovi oligarchi, dei loro gas, del loro olio. Ma la leggenda dello Spartak Mosca continua: “tutto è perduto, fuorché l’onore”.