Se un giorno, tra quindici anni, dovessi raccontare questa storia a mio figlio, lo farei più o meno così: «Devi sapere che ci fu un tempo in cui le squadre di calcio a Catania furono due e questo, con il suo seguito di rivalità e sfottò, contribuì a mantenere in vita il movimento calcistico locale, rendendolo dinamico e duraturo».
A dire il vero, non serve portarsi troppo avanti con l’immaginazione: la storia del derby di Catania già oggi appare come una storia surreale, come sbiadita nella memoria, quasi sia impensabile che un’altra società abbia potuto affiancare il Calcio Catania nel rappresentare la città. Eppure fu così, ed è un racconto che merita di essere tramandato.
Nell’agosto del 1993, quando il Catania di Massimino venne radiato per banali inadempienze burocratiche, il calcio nel capoluogo etneo scomparve. La cosa, oltre allo sconforto per l’esclusione dai campionati professionistici e per la cancellazione del titolo sportivo datato 1946, suscitò particolare irritazione in funzione del contesto calcistico che si viveva in quel periodo nell’isola: Palermo ed Acireale erano appena stati promossi in Serie B, Giarre, Leonzio e Siracusa erano in C1, il Licata, l’Akragas ed il Trapani in C2. All’appello mancava solo il Messina, fallito per l’ennesima volta e costretto a ripartire da zero.
L’assenza del Catania, pertanto, sarebbe stata un affronto insopportabile per la città, da anni impaziente di rivedere la Serie A ed invece cancellata dal panorama sportivo con un colpo di spugna di Matarrese. Se ne resero conto, ben presto, sia gli imprenditori locali (all’epoca ce n’erano), sia l’amministrazione comunale, guidata dalla sindacatura di Enzo Bianco.
L’idea, in quel momento l’unica accettabile, era quella di comprare il titolo sportivo di un’altra squadra e trasferirlo a Catania. La scelta ricadde sulla Leonzio, società creata da Salvatore Tabita nel 1986 come Atletico Catania e poi trasferita a Lentini visto lo scarso seguito in terra etnea. La squadra, appena promossa in C1 e guidata dal neo-presidente Franco Proto, apparve come la soluzione migliore per riportare il calcio che conta a Catania.
L’iter, comunque, era lungo e non si riuscì a cambiare il titolo sportivo in tempo utile per l’inizio del campionato. Lo stratagemma, quindi, fu quello di iscrivere una società chiamata AS Catania
in CND ed operare lo scambio di titoli a fine stagione.Lo scenario di settembre, dunque, era quello di una squadra provvisoriamente in CND ma che l’anno successivo sarebbe stata in C1, esattamente dove sarebbe dovuta essere la squadra di Massimino. Il passaggio di testimone fu sancito dalla continuità del nome e dei colori, ed in breve anche la città si identificò con la nuova squadra di Proto. Persino gli ultras, all’esordio al Cibali, erano in curva a tifare.
Nel frattempo, però, Angelo Massimino lavorava sodo ad un colpo di scena. A suon di “carte bollate” era riuscito a salvare il vecchio titolo, vincendo la causa contro la radiazione e chiedendo ufficialmente la riammissione in C1. Ma a quel punto (era ottobre) il campionato era già iniziato e Matarrese, malgrado il TAR avesse riscritto il calendario, fu inflessibile: il Catania sarebbe dovuto ripartire dai dilettanti, poi l’anno successivo (magari…) sarebbe potuto essere ripescato in C1.
La tifoseria si trovò spiazzata: due squadre portavano il nome della città. Il Catania 1946 giocava in Eccellenza (con la promessa di essere ripescata in C1 l’anno dopo), il Catania 1993 in CND (con la previsione di giocare anch’esso in C1 l’anno dopo). Addirittura alcuni club (ad esempio gli Irriducibili) si spaccarono in due, con un gruppo che seguiva una squadra ed uno che seguiva l’altra.
Fu proprio in quei mesi che l’anno di fondazione “1946” assunse valore: fino ad allora, infatti, non si faceva particolare menzione di quella data, anche perché il Catania era nato per la prima volta nel 1929 e la rifondazione post-bellica non aveva mai rappresentato un punto d’inizio, ma semmai un punto di collegamento col passato. Con la necessità di distinguersi dalla nuova società di Proto, invece, divenne consueto far riferimento al “Catania 1946”. Questo fatto, tuttavia, ha relegato il periodo pre-bellico ad un ruolo marginale nella storia del club.
Nell’estate 1994, Proto operò il preventivato cambio di titolo, iscrivendo l’Atletico Catania in Serie C1. Matarrese, invece, non mantenne l’impegno preso ed il Catania fu ripescato solo il CND, cioè ben due categorie sotto.
Fu a quel punto che, beffati nuovamente, i tifosi catanesi si sentirono abbindolati da una società che apparve come “usurpatrice” del ruolo di rappresentante della città. Gli ultras del Catania si ricompattarono, seguendo con passione ed incondizionatamente la squadra anche nelle trasferte più impensabili ed improponibili. Ma nel frattempo, sempre più gente iniziò a seguire l’Atletico, che giocava in un campionato ben più ambizioso.
Malgrado il seguito di “atletisti” fosse decisamente inferiore rispetto ai “catanisti”, l’Atletico ebbe la priorità nell’uso del Cibali, costringendo il Catania a giocare a volte persino in campo neutro. Con la risalita del Catania in C2 e con il profilarsi dei primi scontri diretti in Coppa, la rivalità divenne ancora più accesa.
Una conseguenza importante fu il cambio di simbolo e colori dell’Atletico: nei primi anni, infatti, esso indossava una maglia blu con striscia rossa al centro, su cui campeggiava il simbolo del Comune. Col ritorno in auge del Catania, invece, fu necessario un cambio di look: i colori divennero giallo-grigio ed il simbolo il cirneco dell’Etna.
Proto, malgrado l’ostilità di gran parte della città, lavorava bene e programmava a lungo termine, tanto che l’Atletico sfiorò per ben due volte la promozione in B, perdendo i play-off prima contro il Savoia (1997) e poi contro la Ternana (1998).
Il movimento ultras atletista era piccolo, ma compatto: l’Azione Ultras, di estrema destra, si faceva notare in casa ed in trasferta. Dall’altro lato, gli ultras del Catania erano sempre numerosissimi e possenti e in quegli anni vivevano una fase di riorganizzazione interna (soprattutto in Curva Nord). La prospettiva del derby al Cibali, pertanto, non era affatto snobbata dalle due fazioni, anzi era particolarmente attesa.
I primi incontri diretti, in Coppa Italia, furono a senso unico: l’Atletico era decisamente più forte del Catania e si impose per due anni di fila. La stagione 1998-99 fu quella della svolta: i giallo-grigi avevano appena fallito il secondo assalto alla B, mentre il Catania si apprestava ad affrontare la cavalcata trionfale verso la C1. Già in Coppa, quell’anno, furono i rossazzurri a passare il turno.
Nelle due stagioni successive le due compagini si ritrovano nella stessa categoria, ma la musica era decisamente cambiata; il Catania mirava alle posizioni alte di classifica, mentre l’Atletico, sempre più abbandonato dal pubblico, era ormai nella sua fase discendente: nel 2000 si salvò ai play-out, mentre l’anno successivo fu sancita la retrocessione ed il fallimento. Rifondato più volte, oggi gioca nelle categorie regionali.
Negli otto anni di coesistenza e soprattutto nei sei anni di confronti diretti, il dualismo Catania-Atletico portò importanti ripercussioni positive. Il fervore calcistico che si viveva, l’utilizzo di tanti atleti locali, l’accesa rivalità, diedero la scossa alla città per mantenere costante l’attenzione verso il calcio che, invece, rischiava di scomparire del tutto. Se da un lato le scelte dell’amministrazione comunale apparvero prima affrettate (ma in realtà, se non fosse stato per la caparbietà di Massimino, non ci sarebbero state tante alternative) e successivamente ostinate e discutibili, dall’altro l’esistenza di una società rivale permise di rafforzare il senso di appartenenza alla storia del Calcio Catania e di mantenere viva una passione che solo molti anni dopo ottenne il suo giusto riscatto.
È una storia che non va dimenticata né sottovalutata, perché è la rappresentazione di un ardore che oggi non esiste più. In una città dove lo sport sta lentamente morendo, dove la passione per il calcio è stata umiliata da chi avrebbe dovuto alimentarla, dove molti si riconoscono nella propria squadra solo quando conviene, per poi distogliere lo sguardo (verso il Nord) quando le cose vanno male, quel passato non va cancellato.
Ci fu un tempo in cui Catania era viva. Ci fu un tempo in cui l’orgoglio catanese, messo alla prova da una nuova realtà rivale, emerse e si rafforzò. E questo, figlio mio, merita d’essere ricordato…
RIEPILOGO
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