Il cuneo fiscale é la differenza tra ciò che il lavoratore riceve e ciò che il datore di lavoro paga. Si chiama cuneo perché si incunea tra le due parti contrattuali; si chiama fiscale perché quella differenza é incamerata dal fisco. É normalmente detestato da entrambe le parti del contratto. Dal lavoratore perché sa che l’impresa é disposta a pagare e paga un salario più alto di quello che riceve; dalle imprese perché esse sanno che i lavoratori sarebbero disposti ad accettare un salario più basso di quello che esse effettivamente pagano. Entrambi sanno che potrebbero stare meglio se non ci fosse quel cuneo. Quella differenza potrebbe essere spartita tra loro con indubbio vantaggio per entrambi.
In verità se si guarda alla cosa dal punto di vista generale le cose stanno un po’ diversamente. Innanzitutto perché le risorse sottratte alle imprese ed ai lavoratori dovrebbero essere destinate a finalità pubbliche. Quindi, a meno di sprechi ed inefficienze, al sacrificio di alcuni corrispondono benefici per altri. Per esempio, quelle risorse potrebbero essere destinate a sostenere chi il lavoro non ce l’ha. Oppure destinate a creare condizioni di vita migliori nei territori in cui sono insediate le imprese e vivono i lavoratori. Se così fosse il cuneo fiscale sarebbe un normale meccanismo di un sistema in cui lo Stato si preoccupa degli equilibri sociali del mercato. Ma c’è di più. C’è che per le imprese quel salario può diventare troppo alto e per i lavoratori troppo basso. Sicché le prime possono decidere di ridurre gli occupati ed i secondi di uscire dal mercato. Ciò significa che alla fine vi saranno meno occupati di quelli che vi sarebbero stati senza il cuneo fiscale. Si avrà quindi il paradosso di lavoratori che non lavorano perché il salario é troppo basso, pur essendo le imprese disposte a pagare un salario più alto, ed imprese che riducono l’occupazione perché i salari sono troppo alti, pur essendo i lavoratori disposti a lavorare per un salario più basso. Ma c’è appunto il cuneo, che rende il salario pagato dalle imprese diverso da quello che ricevono i lavoratori. Il cuneo fiscale diventa quindi un ostacolo alla crescita dell’occupazione e del reddito. Si comprende così l’impegno di tutti a cercare di ridurne le dimensioni.
Come si riduce il cuneo fiscale ed i suoi effetti negativi su occupazione e reddito? Ovviamente riducendo l’imposizione fiscale. Ma l’unico modo serio di ridurre l’imposizione fiscale é attraverso la riduzione e la riqualificazione della spesa. Ridurre là dove la spesa é inutile perché non avvantaggia nessuno o perché è soltanto il pagamento di una rendita. Riqualificare la spesa verso quegli interventi di carattere strutturale che possano, nel tempo, rendere la spesa stessa sempre più produttiva e quindi suscettibile di essere ridotta. Se ciò si riuscisse a fare, si metterebbe in moto un circolo virtuoso che permetterebbe di allentare la morsa della tassazione sul lavoro, avvicinando il salario pagato al salario ricevuto. La redistribuzione di queste risorse, rese libere dalla riqualificazione della spesa pubblica, offrirá nuovi incentivi alle imprese per assumere ed ai lavoratori per restare sul mercato. La semplicità di questo ragionamento confligge però con le enormi resistenze alla ristrutturazione della spesa. Quelle resistenze trovano la loro principale spiegazione nella scarsa autorevolezza della politica, che non riesce ad offrire ai diversi gruppi di interesse una garanzia sufficiente per lo sforzo cooperativo che tutti dovrebbero accettare.