Nel 1978 entrava in vigore la costituzione spagnola, dopo anni di dittatura franchista. La Spagna era riunita di nuovo sotto la corona di Juan Carlos I, e dava inizio a una nuova era democratica. Passo fondamentale del testo era quello riguardante le autonomie: secoli di tradizione centralista furono abbattuti, riconoscendo uno status particolare a quelle regioni dalla forte tradizione storica, culturale e linguistica. Recita la costituzione che «La Naciòn española… proclama su voluntad de… proteger a todos los españoles y pueblos de España en el ejercicio de los derechos humanos, sus culturas y tradiciones, lenguas e instituciones».
L’integrità nazionale era salva, le tensioni appianate, e la Catalogna e i Paesi Baschi (le regioni che più di tutte hanno storicamente contrastato il potere centrale castigliano) videro le proprie identità protette. Per capire un paese, intuirne le divisioni sociali e territoriali, indovinarne la capacità organizzativa, il livello culturale e civile, basta andare allo stadio, assistere al suo campionato di calcio. La Spagna non fa eccezione, anzi è un caso emblematico.
Il club più titolato è il Real Madrid, prima squadra della capitale, della corona e del potere castigliano. Suo storico rivale è il Barcellona, mes que un club, come recita il motto societario, che da sempre contende al Real il titolo di migliore di Spagna. Per completare il parallelismo fra squadre di calcio e autonomie regionali contro il potere centrale manca il club che più di ogni altro al mondo rappresenta appieno l’orgoglio per le proprie tradizioni: l’Athletic Club di Bilbao, che addirittura non schiera in campo giocatori che non siano baschi o di origine basca. Queste tre sono le uniche squadre a non essere mai retrocesse in secunda division, e si sono spartite (in misure differenti) periodi di supremazia nella liga.
Poi c’è una outsider. Nel 1903 nasce, sotto il segno del toro, una costola madrilena dell’Athletic Club, per mano di tre studenti baschi di ingegneria. Adottano gli stessi colori della squadra di Bilbao (che allora erano il bianco e il blu) e accolgono nel consiglio di amministrazione alcuni dissidenti del Madrid FC. Dopo poco meno di un decennio cambiano i colori della divisa passando al rosso e bianco, che sono i colori della foggia dei materassi potendone così ricavare le maglie risparmiando e meritandosi il soprannome di colchoneros (materassi in spagnolo).
Con l’avvento di Franco, il club è costretto a cambiare il proprio nome, essendo Athletic una parola straniera e quindi non ammessa dal regime, tramutandolo prima in Atletico Aviacion de Madrid, dopo la fusione con l’Aviacion Nacional, e infine nell’attuale Atletico de Madrid. Iniziano le prime vittorie, solo parzialmente offuscate dal sospetto della mano del Caudillo, che obbligò alcuni importanti giocatori in età di leva a trasferirsi in quella che secondo lui rappresentava la squadra dell’aviazione, e per estensione del glorioso esercito del regime.
Dicerie a parte, l’Atletico comincia a vincere, raggiungendo il suo apice storico nell’era Aragones. Grazie al suo capitano, che resterà per molti anni ancora il giocatore migliore della storia del club, conquista tre titoli e due coppe nazionali. Dopo il ritiro Aragones divenne l’allenatore dell’Atletico portandolo sul tetto del mondo nel 1974, conquistando la Coppa Intercontinentale senza però aver vinto la Coppa dei Campioni. Il Bayern Monaco, vincitore del titolo, rinunciò infatti a partecipare alla sfida contro l’Estudiantes, che quindi affrontò (perdendo) l’altra finalista della Coppa dei Campioni, ovvero l’Atletico.
Nel mondo le leggende nascono spesso da una frase detta a caso da qualche malalingua, per poi alimentarsi di eventi fortuiti e del tutto casuali, così è per i colchoneros, che da quando entrò in vigore la Costituzione, che sanciva la fine dell’era franchista, non riuscirono più a vincere la Liga.
Nel 1996 però il presidente Jesus Gil riuscì a mettere in piedi una squadra capace di vincere campionato e coppa dopo quasi vent’anni.
Di quella rosa faceva parte un centrocampista rude, instancabile e fortissimo nel gioco di testa. Argentino, lo chiamano il Cholo, che sarebbe l’abbreviazione di Xoloitzcuintli una particolare razza di cane messicano, ha l’espressione da duro: Diego Pablo Simeone.
Diciotto anni dopo non gioca più a centrocampo, ha i capelli pettinati all’indietro da tanguero e siede sulla panchina e guida la squadra in un campionato che non lo vedeva per niente tra i favoriti ma che adesso può essere conquistato all’ultima giornata, in una partita secca, che vale tutto, contro il Barcellona. L’atmosfera al Camp Nou fa presagire una vittoria dei catalani, gli spalti sono pieni e coloratissimi, intimorirebbero chiunque, a maggior ragione se poi i giocatori contro cui devi giocare formano probabilmente la squadra più forte degli ultimi anni. Non c’è però emozione senza l’imprevisto, non c’è gioia senza la difficoltà, così dopo nemmeno un quarto d’ora di gioco si fa male Diego Costa, considerato da tutti l’unico capace di intimidire i blaugrana. Dopo altri dieci minuti si fa male pure Arda Turan, il fantasista della squadra, e Simeone si ritrova apparentemente senza attacco e con un cambio solo a disposizione. Come se non bastasse al 33° Sanchez si inventa letteralmente un tiro impossibile e porta in vantaggio il Barcellona.
Sembra tutto finito, ma qualcosa non torna, l’Atletico non si arrende e gioca bene, gli basta il pareggio, e gli avversari sono nervosi, sfiancati dall’aggressività che Simeone è riuscito a trasmettere ai suoi. Messi si fa persino ammonire a gioco fermo, per aver scalciato il pallone.
Il calcio è un gioco di squadra, nel quale l’abilità individuale può essere sovrastata dalla voglia di vincere, dall’unione, dal sacrificio, dai quali scaturisce l’evento inaspettato che determina risultati imprevedibili. L’imprevisto si chiama Godin, fa il difensore e come il suo allenatore è molto forte di testa, ed è così che segna. Ora tutto si è ribaltato, o forse no…il Barcellona continua ad essere nervoso, l’Atletico a non concedere un attimo di respiro, poi l’arbitro fischia: Colchoneros Campeones!
Il Club Atletico de Madrid è una squadra anomala in tutta la sua storia, è basca a Madrid, è l’unica ad aver vinto la Coppa Intercontinentale senza aver vinto la Coppa dei Campioni, ha fermato l’egemonia del Real di Ronaldo e del Barcellona di Messi, dopo aver venduto il suo giocatore migliore, Falcao, e averlo sostituito con Diego Costa, un tizio che qualche anno fa giocava in Segunda Division.
E ora c’è la finale di Champions League contro il Real Madrid.