Ma chi sono Romario e Bebeto? Chi sono?
Tutti noi, almeno quelli che amano il calcio (ma forse non solo), abbiamo un ricordo speciale legato a quell’oggetto mistico e infantile che è il pallone. Un ricordo dal quale è cominciato tutto, dal quale è cominciata un’irrefrenabile attrazione, un amore. Il mio ricordo è legato all’estate, alle terrazze, a un codino: USA ’94.
Faceva caldo, andavamo a vedere le partite a casa di amici dei miei genitori, in terrazza. Io ero un bambino e mi sentivo grande con la mia coca-cola, seduto a terra in prima fila, sopra di me i baffi di mio padre, le urla dei suoi amici, il fumo delle sigarette, le bottiglie di birra e la meravigliosa voce di Bruno Pizzul a commentare le partite. Mi sentivo felice, avrei visto mille partite di fila senza stancarmi mai.
In televisione scorrevano le facce dei nostri calciatori durante l’inno, da quel paese lontano, oltre l’oceano, che non ci è mai stato tanto simpatico forse anche perché soffriamo un po’ un complesso d’inferiorità (più o meno confessato) nei suoi confronti. Nella potenza economica, militare, ma nel calcio no! Di calcio gli americani non capiscono niente.
La nostra nazionale però non gioca affatto bene, nonostante sulla panchina sieda un signore con gli occhiali fumé che su di me, che sono ancora troppo piccolo per essere informato sulle polemiche e le discussioni che accompagnano i mondiali, esercita un fascino rispettoso.
Dicono che ci sia un caldo infernale negli USA, lo stadio è pieno di tifosi avversari perché gli italiani hanno rivenduto i loro biglietti al mercato nero, e addirittura perdiamo la prima partita contro l’Irlanda.
Arriva il momento del riscatto, arriva il momento della Norvegia. La partita però si mette subito male, la difesa sbaglia il fuorigioco e un attaccante scandinavo si trova da solo contro Pagliuca che in uscita tocca la palla con la mano fuori dall’area di rigore: è espulsione. Entra in campo Marchegiani e bisogna sacrificare un giocatore, e a farne le spese è la fantasia, il genio, il numero 10. Come se non bastasse all’inizio del secondo tempo Baresi, all’epoca indiscutibilmente il difensore più forte del mondo, si rompe il menisco del ginocchio destro: il suo mondiale è finito. La partita si è messa male, ma è proprio in questi momenti che l’Italia trova compattezza e orgoglio, e su cross di Beppe Signori è Dino Baggio (che solo anni dopo ho scoperto non essere fratello di Roberto) a segnare di testa. L’Italia vince la seconda partita del girone.
L’ultimo avversario è il Messico, e stavolta cominciamo bene e siamo noi ad andare in vantaggio. Albertini fa un passaggio meraviglioso (che poi ripeterà ancora nel corso di quel mondiale e ancora nel mondiale successivo contro la Francia) per Massaro che segna. Poi però arriva il pareggio dei messicani e tutti restiamo increduli e delusi, non sappiamo infatti se l’Italia è stata eliminata, tant’è che la nostra nazionale viene praticamente ripescata come ultima fra le migliori terze dei gironi.
Nonostante le prime tre partite non esaltanti, io mi sono già appassionato a questo gioco, a questa competizione, alla maglia azzurra. Giornali e televisioni erano critici e pessimisti, ma io non lo sapevo!
Agli ottavi incontriamo la Nigeria, e non vi nascondo che provai subito una enorme simpatia per questi giocatori che correvano come felini e secondo me indossavano una bellissima maglietta verde. Ci sono Oliseh, Ikpeba e Jay Jay Okocha, corrono senza mai fermarsi, giocano bene e vanno in vantaggio. Sacchi si affida a Zola ma l’arbitro, solo lui sa il perché, lo espelle e l’Italia è ancora una volta in dieci. Il tempo passa, i nigeriani non si fermano e l’eliminazione sembra giunta. Qualcosa però non torna, abbiamo tutti la sensazione che ancora debba accadere qualcosa, nessuno sa cosa. I capelli rossi di Mussi spuntano in alto sullo schermo, entra in area e passa la palla.
A quel punto arriva l’eroe, il mio eroe, l’eroe di tutti: il numero 10, il codino, il divin codino, Roberto Baggio. Tiro e gol! L’Italia è salva, grazie Roberto. Siamo in dieci ma Baggio è veramente troppo forte. Benarrivo lo sa, e come uno scudiero al suo cavaliere gli lascia il pallone al limite dell’area e scatta, Baggio con un pallonetto meraviglioso gli ritorna il pallone, Benarrivo è atterrato da un difensore della Nigeria: rigore. Sul dischetto va lui, Baggio. 2-1 l’Italia è ai quarti.
Contro di noi gioca la Spagna, ma siamo più forti e andiamo in vantaggio con un gran tiro di Dino Baggio (che rafforzò così in me l’idea che fosse il fratello un po’ più scarso di Roberto). Siamo però sfortunati e grazie ad un mezzo autogol le furie rosse pareggiano. Noi però in campo abbiamo un eroe, che al momento giusto corre, scatta col pallone fra i piedi e il codino che gli rimbalza sulla schiena, e risolve tutto. Berti serve Signori che lancia Roberto Baggio, Bruno Pizzul grida “Baggio Baggio, Roberto Baggio salta (il portiere) e segna!”. In terrazza saltano tutti, urlano, esultano, si abbracciano, io sono estasiato, un uomo solo, con uno strano codino e dei piedi benedetti che fa gioire tutte quelle persone e chissà quante altre ancora in giro per le terrazze di tutta l’Italia.
In semifinale c’è la Bulgaria, il cui attaccante è Hristo Stoičkov, uno forte e duro. Ma noi, lo ripeto ancora, abbiamo un eroe, noi abbiamo Baggio.
Proprio Roberto, così ormai lo chiamano tutti compreso Pizzul durante la telecronaca, come fosse un amico, uno di famiglia, perché gli vogliamo bene, segna due gol strepitosi. Il primo con un’azione solitaria tipica delle sue e tiro dal limite dell’area, il secondo su passaggio mirabile (molto simile a quello per Massaro contro il Messico) di Albertini, che è un altro che gioca bene, benissimo. Poi Stoičkov segna, ma chi se lo ricorda? Noi abbiamo il Divin Codino e andiamo in finale.
Quando la partita finisce tutti esultano e saltano dalla gioia, in campo, sugli spalti e in terrazza. Tutti tranne Roberto, si è fatto male e non sa se giocherà la finale.
Il grande giorno arriva, siamo contro il Brasile, chi vince diventa la nazionale più titolata di sempre. Quando le squadre entrano in campo il primo degli italiani è Baresi. Ma come, non si era rotto il menisco? Quell’uomo è di ferro, indistruttibile, inarrestabile. I suoi compagni stavano giocando, lui aveva fiducia in loro, e nel giro di venti giorni si è fatto operare e ha recuperato per giocare la finale. Incredibile. Quella squadra era piena di giocatori fantastici: Zola, Signori, Maldini, Benarrivo, Pagliuca, Baresi, Dino Baggio, Massaro, Donadoni, Albertini e Roberto.
Dall’altra parte ci sono due che fanno paura, sono Romario e Bebeto, i due attaccanti. La tensione è altissima, Baggio ha la gamba fasciata, ai giocatori tremano le gambe, l’unico imperturbabile sembra Franco Baresi.
Mauro Silva tira dalla distanza, sembra una parata facile, ma la palla sfugge dalle mani di Pagliuca e sbatte miracolosamente sul palo. Pagliuca raccoglie il pallone e bacia il palo, siamo salvi. Baresi gioca una partita sontuosa. Romario sbaglia un gol fatto da dentro l’area piccola. Le squadre non si risparmiano, corrono e provano a vincere. Alla fine sono stremati, sembra quasi di condividerne la stanchezza; si va ai rigori, per la prima volta nella storia in una finale.
Il primo rigore lo tira Baresi, calcia altissimo. Subito dopo però Pagliuca fa il miracolo e para. I brasiliani non sbagliano più, al contrario di Massaro che si fa parare il tiro. Arriva il turno di Roberto, è l’ultimo rigore, se sbaglia abbiamo perso. Siamo tutti incollati allo schermo in silenzio, anche l’aria è ferma, il caldo sembra svanito, tutto è immobile, sospeso. Baggio tira ma la palla va fuori sopra la traversa, il Brasile è campione del mondo. La cosa assurda è che nonostante quell’errore, o forse proprio per quello, io l’ho voluto ancora più bene. Baresi è in lacrime, Sacchi che fino a quel momento è sembrato un sergente cattivo lo consola e sembra uno zio buono.
Tutti quell’estate abbiamo amato quei giocatori, quella maglia azzurra, la voce di Bruno Pizzul, quel gioco meraviglioso che è il calcio, quel codino. Non c’era rabbia, solo un po’ di amarezza, per quel mondiale che era dell’Italia, che era di Roberto Baggio, e che alla fine ha vinto il Brasile.