Salvador “Todo” Calvanese

Buenos Aires, 17 agosto 1934

L’etichetta di “bidone” lo perseguitava. «Gaúcho, torna nelle Pampas!» gridavano all’indirizzo di Salvador Calvanese i tifosi del Genoa, indispettiti per le sue prestazioni molto al di sotto delle aspettative. Il centravanti argentino era arrivato nell’estate 1959 con il pedigree di giocatore intelligente, che creava spazi per i compagni, non prolifico né veloce, ma potente e guizzante. Non ci si aspettavano 20 gol, ma nemmeno che rimanesse all’asciutto tutto l’anno. Le uniche due reti furono segnate in Coppa Italia, al Venezia, e valsero un platonico terzo posto. Per il resto tante delusioni.

Todo era pronto a tornarsene a casa quando lo contattò Giulio Cappelli. Ex direttore tecnico dell’Inter e direttore tecnico del Catania, lo raccomandò al dirigente rossazzurro Michele Giuffrida. Nessuno si fidava: il commissario Ignazio Marcoccio pagò il Genoa 15 milioni («un piatto di lenticchie», si disse all’epoca), gli offrì un contratto di prova fino a dicembre, lo presentò come un ripiego ed era pronto a bocciarlo dopo un precampionato poco incisivo. Ma appena iniziò la Serie A 1960-’61, tutto cambiò.

Il gol di Calvanese contro il Lanerossi Vicenza, nel 4-0 del 13 novembre 1960

Lo prese sotto la sua ala Memo Prenna, mezzala e bandiera della squadra, e mister Carmelo Di Bella lo mise sotto torchio: era sua la maglia n. 9, doveva dimostrare che come centravanti valeva. Nove reti, molte decisive, valsero il secondo posto al termine del girone d’andata e un ottavo posto finale storico. Una la realizzò contro l’Inter, all’ultima giornata, nella partita che tramortì una delle candidate alla vittoria dello scudetto. Per festeggiare, andò a palleggiare davanti alla panchina interista dopo il primo gol e si racconta inoltre di un suo torello insieme a Biagini e Ferretti a discapito di Facchetti.

Clamoroso al Cibali! Catania-Inter 2-0, 4 giugno 1961. Il portiere interista Da Pozzo raccoglie dalla rete il pallone del raddoppio, siglato da Calvanese.

Fu quella la sua miglior stagione italiana. Lo volevano la Fiorentina, la Juventus e l’Atalanta. Ai viola il Catania disse no, alla Juve fu prestato per la Mitropa Cup 1962, all’Atalanta si trasferì dopo il grande inizio del campionato 1962-’63 (tre reti nelle prime due partite). Gli atalantini lo pagano una cifra che alcune fonti danno sui 70 milioni, altre sui 115: una plusvalenza enorme, comunque. Fu tra i protagonisti della vittoria della Coppa Italia 1963 e delle cavalcate atalantine europee in Coppa delle Alpi e delle Coppe.

Tornato a Catania, riuscì a conquistare un altro ottavo posto, coronamento di un’altra ottima stagione da 7 reti in 30 partite, ma poi iniziò un rapido declino. Diventò capitano, ma nei due anni seguenti non riuscì a evitare la retrocessione dei rossazzurri in B e un campionato cadetto chiuso con un deludente terzo posto. Lo volevano anche in America, ma lui aveva deciso di rimanere in Sicilia.

Gli anni seguenti, tuttavia, lo convinsero a tornare in patria. Avviò un’attività commerciale, allenò la Primavera rossazzurra, svezzando due campioni come Zaccarelli e Biondi, fu vice di Rubino in prima squadra, ma quando si presentò l’occasione di allenare i senior finì in un caos burocratico che bruciò la sua posizione e rovinò i rapporti con il presidente Massimino. Provò a ripartire da Siracusa, ma anche lì disputò due mezze stagioni non esaltanti. Tornò dunque a casa, per fare il talent scout e l’allenatore giovanile del Vélez Sarsfield.

Rimane il quarto miglior marcatore del Catania in Serie A con 24 reti, al pari di Gionatha Spinesi, ed è stato definito un «artista della pelota». Anche da allenatore giovanile in patria ha lasciato il segno e soprattutto ha dimostrato come ci si possa riscattare da un impatto pessimo, diventando tra i top player della storia rossazzurra.