Giuseppe Vavassori

Rivoli, 29 giugno 1934 – Bologna, 21 novembre 1983

Quando si fa il nome di Vavassori si evoca uno dei più forti portieri (se non il migliore in assoluto) che abbia mai indossato la casacca rossazzurra… Anzi, pardon, il mitico maglione giallo, perdutosi nel bianco e nero delle vecchie foto d’epoca.

Nato a Rivoli (il cui stadio oggi porta il suo nome), mosse i primi passi da calciatore nella Carrarese in serie C, dove mise in mostra le sue ottime doti di guardapali che gli valsero la chiamata alla corte della Juventus nel 1955. Con la maglia bianconera iniziò facendo il secondo di Beppe Viola, dal quale imparò ad affinare l’arte del mestiere, fino ad alternarsi con Carlo Mattrel per due stagioni, vincendo due scudetti e due Coppe Italia.
Nella stagione 1960-61 divenne il numero uno titolare e vinse il suo terzo scudetto – quello caratterizzato dal “Clamoroso al Cibali” dell’Inter e dal polemico finale, con i nerazzurri che, nello scontro diretto contro la Juve recuperato a fine stagione, mandarono in campo la squadra giovanile per protesta.

Vavassori sembrava ormai proiettato a far parte di quella dinastia di portieri bianconeri leggendari, ma il destino beffardo era in agguato. Il 29 maggio del 1961 si giocava a Roma l’amichevole tra Italia ed Inghilterra: Beppe, alla prima convocazione in Nazionale, fu chiamato in causa agli inizi del secondo tempo, quando il portiere Buffon s’infortunò e fu costretto ad uscire. L’euforia per la Nazionale in vantaggio per la prima volta nella storia contro gli inglesi, l’emozione per l’inaspettato esordio e la pesantezza per un’incauta cena (era sicuro di non giocare), portarono Beppe a commettere errori marchiani (in particolare nel gol di Hitchens, con la palla che gli passò sotto le gambe) che consentirono ai britannici di pareggiare l’incontro ed addirittura ribaltarlo a loro favore (2-3).

Il giorno dopo la partita, il vicepresidente juventino Remo Giordanetti chiamò il dirigente factotum del Catania Michele Giuffrida per ufficializzare l’acquisto del portiere Giuseppe Gaspari, reduce da due campionati straordinari con i rossazzurri; al Catania andarono in cambio Vavassori ed un conguaglio di alcuni milioni.

L’allenatore Carmelo Di Bella espresse subito il suo disappunto per lo scambio di portieri, ma Giuffrida era sicuro di aver combinato un ottimo affare. E così fu! Gaspari, dopo poche partite in bianconero, venne accantonato per far posto al giovane Anzolin; Vavassori, invece, dopo un periodo iniziale di ambientamento, cominciò ad ingranare e ad incantare il pubblico con le sue parate.

Il “Vava” (così chiamato affettuosamente dai tifosi etnei), giocò a Catania cinque stagioni in A, contribuendo a raggiungere anche due ottavi posti consecutivi (che, insieme a quelli conquistati nel 1960-61 e nel 2012-13, rappresentano il miglior piazzamento dei rossazzurri in Serie A).

Indimenticabile un episodio in un Torino-Catania, dove parò l’impossibile, strappando un prezioso pareggio; i tifosi granata lo beccarono per tutta la partita per il suo passato bianconero ed uno di essi lanciò in campo un ombrello: Vavassori lo raccolse e lo portò con sé sorridente negli spogliatoi, suscitando ancor più rabbia nei supporters torinesi.

 

Malgrado la retrocessione in B nel 1966, Beppe iniziò il campionato successivo in serie cadetta. Tuttavia, il Catania doveva far cassa ed iniziò una trattativa con il Bologna per cederlo in cambio del portiere Rino Rado, di Fara e Pasqualini, nonché di un conguaglio economico. Il triste commiato avvenne in un pomeriggio piovoso di fine ottobre 1966, dove il fango la fece da padrone nella sconfitta contro la Sampdoria. Il giorno successivo le strade del Catania e di Vavassori si divisero.

Con i felsinei giocò sei stagioni, culminate con la vittoria della Coppa Italia 1969-70 (la sua terza) e della Coppa di Lega Italo-Inglese nel 1970. Appesi i guantoni al chiodo nel 1972, intraprese la carriera di allenatore con Forlì ed Imola.

Nel 1982-83, in occasione di un Catania-Bologna nell’anno della promozione, tornò al Cibali, sorridente e salutato con affetto da tutti. Ma era già gravemente malato per un tumore al colon e pochi mesi dopo, nel novembre 1983, morì all’età di soli 49 anni.