Budapest, 21 novembre 1894 – Budapest, 6 febbraio 1945
Con un passato da discreto giocatore, seppur in patria lo soprannominassero bradipo in quanto molto lento, Géza Kertész fu uno dei migliori allenatori negli anni Trenta in Italia, dove era giunto dall’Ungheria nel 1925. Molto esigente e pignolo, fu il primo ad introdurre nel nostro campionato i ritiri collegiali, iniziando sin dal primo giorno con la ginnastica svedese per preparare i giocatori. Dopo le ottime esperienze a La Spezia e Carrara, con cui vinse due campionati, fu a Catanzaro che ottenne il primo grande exploit, portando la squadra locale in Serie B.
A Catania, intanto, il presidente Vespasiano Trigona, Duca di Misterbianco aveva fatto dei tentativi per emergere dalla mediocrità della Serie C, con gli allenatori ungheresi Mally e Czeiler e con l’austriaco Joachim, ma senza alcuna fortuna. Fu così che, nell’estate del 1933, Trigona volle fortemente Kertész alle pendici dell’Etna.
Il Duca aveva allestito in quegli anni una grande squadra: il portiere Mario Sernagiotto, i poderosi terzini Mario Miltone e Ferruccio Bedendo, il roccioso Giovanni Degni in mediana con Alberto Pagliarini e Gyula Micossi a fianco, l’esperto Ottorino Casanova tra fascia e regia, i bomber Cocò Nicolosi, Alberto Pignatelli ed Ercole Bodini, che sarebbero andati tutti e tre in doppia cifra. Géza organizzò un duro ritiro in una villa nei pressi del futuro stadio Cibali, con severi orari di sveglia e di ritorno in camera.
I modi energici dell’allenatore magiaro ebbero i loro frutti: la squadra giocava un calcio armonico, facendo della difesa e del contropiede le proprie armi principali, e vinse meritatamente il campionato, approdando per la prima volta in Serie B. Per Kertész fu la terza vittoria in quattro anni!
L’anno dopo, all’esordio in serie cadetta, la squadra rossazzurra arrivò a giocarsi i posti a ridosso della promozione, sfumata contro il blasonato Genova 1893 in una partita tanto sfortunata quanto controversa. Amato dai tifosi e soprattutto dal suo presidente – i due pranzavano insieme prima di ogni partita come rito scaramantico – Kertész lasciò Catania nell’estate del 1936, approdando al Taranto, che condusse – tanto per cambiare – alla promozione in Serie B. Sfiorò poi la Serie A con l’Atalanta, suscitando gli interessi della Lazio che lo ingaggiò l’anno dopo. Con i biancazzurri, un ottimo 4° posto in classifica all’esordio, mentre l’anno successivo fu esonerato.
Ripartì dalla provincia, a Salerno, ma quando gli giunse una telefonata da Catania non seppe dire di no, ritornando con entusiasmo. Era il 1941 ed il Catania aveva allestito uno squadrone (con i vari Koenig, Presselli, Nebbia e De Luca) per risalire in Serie B, ma l’altalena di risultati non lo portò più in là del sesto posto.
Kertész passò quindi al Littorio, squadra romana che giocava in C, e venne poi chiamato a sorpresa dalla Roma, fresca di scudetto con il tecnico Alfréd Schaffer: con i giallorossi chiuse al 9° posto.
Nel frattempo, però, l’Italia era entrata nel vivo del secondo conflitto mondiale e ciò costrinse a limitare gli incontri e le manifestazioni sportive d’ogni genere. Kertész, tornato in Ungheria nel 1943, diede vita, insieme all’ex-compagno di squadra Tóth, ad un’organizzazione resistenziale che salvò decine di ebrei e partigiani ungheresi dai campi di sterminio nazisti. Si travestì anche da soldato della Wehrmacht per aiutare molte persone a scappare dal ghetto di Budapest e pare avesse rapporti con i servizi segreti americani.
Arrestato nel dicembre 1944, dopo che un delatore aveva riferito alla Gestapo che questi nascondeva un ebreo in casa, morì fucilato nell’atrio del Palazzo Reale di Buda, insieme allo stesso Tóth, qualche giorno prima della liberazione della capitale. Al suo funerale postumo parteciparono migliaia di persone ed anche alcuni delegati catanesi con un vessillo rossazzurro. Gli fu riconosciuto il titolo di «Martire della Patria» ed è sepolto nel Cimitero degli eroi di Budapest, sin dall’aprile 1946.
A Catania, dove un’approfondita ricerca storiografica ne ha recentemente riportato alla luce le gesta sportive ed umane, gli è stata intitolata una strada nel 2016. È stato soprannominato lo “Schindler di Catania” ed a lui – ed al suo fedele compagno d’avventura Tóth, è dedicato il volume Due eroi in panchina di Roberto Quartarone (Edizioni InContropiede, 2016).